martedì 24 aprile 2012

Intervista di David Cronenberg per Cinerepublic



Cosmopolis di David Cronenberg è in Concorso al Festival di Cannes 2012 ed esce nelle sale italiane il 25 maggio, grazie a 01 Distribution. Raramente capita di approfondire un film in Concorso a Cannes con così largo anticipo, i pressbook ancora latitano e il materiale italiano è ancora privo di extra. In via del tutto eccezionale e con buona dose di fortuna "svizzera", quello che vi apprestate a leggere è un documento di rara eccezionalità. Verrà suddiviso in tre parti: si parte con l'intervista a David Cronenberg, si prosegue con quella a Robert Pattinson e si termina con le parole di Don DeLillo. Regista, protagonista e scrittore ci raccontano le loro esigenze produttive e il loro punto di vista su una delle pellicole che si candida al titolo di miglior film del 2012.

Conosceva il romanzo di Don DeLillo?No, non l'avevo mai letto. Paulo Branco e suo figlio Juan Paul mi hanno suggerito di adattarlo per lo schermo. Paulo è venuto da me e mi ha detto: «Mio figlio pensa che tu sia l'unica persona che potrebbe trarne un film». Conoscendo altri libri di DeLillo e i molti grandi film che Paulo ha prodotto, ho pensato che valeva la pena dargli un'occhiata. Tutto ciò è molto inusuale per me, perché in genere preferisco lavorare su progetti miei ma le due concause mi hanno spinto a prendere in considerazione Cosmopolis e cominciare a leggerlo. Due giorni dopo, a lettura ultimata, ho chiamato Paulo per dirgli che c'ero dentro, avrei fatto il film.



Ha voluto scriverne la sceneggiatura da solo?
Certo. E sa una cosa? L'ho fatto in sei giorni. E, per me, è senza precedenti esserci riuscito. In pratica, ho iniziato a trascrivere tutti i dialoghi del libro sul mio computer, senza modificare o aggiungere nulla. Mi ci sono voluti tre giorni. Quando ho finito, mi son chiesto: «C'è abbastanza materiale per un film?». «Credo di sì» è stata la risposta. Ho poi trascorso i tre giorni successivi a riempire il vuoto tra un dialogo e l'altro e ho ottenuto il copione. L'ho inviato a Paulo. In un primo momento, non lo ha apprezzato ma poi è ritornato sui suoi passi e abbiamo avviato la produzione.

Cosa lo ha convinto a trasformare il libro in film e a dirigerlo?
Gli incredibili dialoghi. DeLillo è famoso per questo ma i dialoghi di Cosmopolis sono particolarmente brillanti. Alcuni possono essere definiti "Pinteresque", a la Harold Pinter, ma potremmo anche rinominarli "DeLillesque". Pinter è un drammaturgo e il suo virtuosismo da dialoghista è più che manifesto, in un romanzo invece non ti aspetti mai la potenza espressiva del lavoro di DeLillo.

Quale era la sua opione sul mondo di Don DeLillo?
Avevo letto alcuni suoi libri: Libra, Underworld, Cane che corre... mi piace molto il suo modo di scrivere, anche se è molto americano [per americano è da intendersi statunitense, ndt]. Io non sono americano, sono canadese. Una differenza di non poco conto. Americani ed Europei credono che i Canadesi siano la versione meglio educata e leggermente più sofisticata degli Americani ma è molto più complicato di così. In Canada, non abbiamo avuto una rivoluzione, la schiavitù o una guerra civile. Non condividiamo del tutto la violenza civile armata, da noi solo la polizia e l'esercito portano in giro armi. Abbiamo un profondo senso di comunità e sentiamo la necessità di garantire a chiunque un reddito minimo, tanto che gli Americani ci considerano come un paese socialista! Vengo da un universo differente da quello dei libri di DeLillo ma capisco la sua visione d'America e riesco a rapportami ad essa.

Libro e film sono ambientati a New York ma danno un'immagine della città molto differente. Il romanzo offre mericolosi dettagli geografici mentre il film risulta essere più astratto.
Nel romanzo, la limousine di Eric Packer attraversa Manhattan da est a ovest, lungo la 47ma strada. Molti dei posti descritti non esistono più e quella New York è diventata in parte immaginaria. Nel film, invece, New York ha una visione molto più suggestiva perché in realtà si è nella mente di Eric Packer. La sua versione della città è in gran parte scollegata dalla realtà delle persone, lui non capisce la gente o la città stessa. Di conseguenza, ho pensato che fosse legittimo accontentarsi di una versione più astratta, anche se la vera New York è visibile attraverso i finestrini della macchina in corsa.

Tra la scrittura del romanzo e la realizzazione del film è trascorso più di un decennio. Ha mai pensato che ciò potesse rappresentare un problema?
No, il romanzo è sorprendentemente profetico. E mentre giravamo molte cose in esso descritte sono accadute realmente, Rupert Murdoch ha ricevuto una torta in faccia e il movimentoOccupy Wall Street ha accompagnato l'ultimazione delle riprese. Per rendere la storia attuale, ho dovuto cambiare poche cose: forse l'unica differenza è che al posto dello yen abbiamo dovuto usare lo yuan. DeLillo ha avuto una visione molto percettiva di ciò che sta succedendo adesso e di come andranno a finire le cose. Possiamo affermare senza ombra di dubbio che, mentre il libro è stato profetico, il film è contemporaneo.

Legge in maniera diversa un libro quando sa che potrebbe esserne tratto un film?
Si, certo. Anche se non mi era mai successo prima di pensare alla realizzazione di un film durante la lettura di un libro. Di mio, in genere leggo molto perché mi piace immergermi nella lettura e chiedersi come sarebbe ricavarne un film mi rovinerebbe ogni divertimento. Nel caso diCosmopolis, però, mi sono ritrovato a rivestire due ruoli contemporaneamente: da un lato ero il classico lettore immerso in un buon romanzo, dall'altro ero invece il regista che si chiedeva se c'era abbastanza materiale per un film. Quando poi si trae un adattamento, è come se si ottenesse la fusione delle sensibilità tra due autori, in questo caso tra DeLillo e me (ma in passato è stata la stessa cosa anche con Ballard o Stephen King). Metaforicamente, è come fare un bambino. Hai bisogno di due persone e il film si rivela come un figlio con cui dover fare i conti. O come un continuo processo di dialettica marxista: mentre giravo Cosmopolis non potevo non pensare che a Marx e al suo Manifesto Comunista quando si sente la frase "uno spettro si aggira per il mondo"...

Solo che in questo caso non stiamo parlando dell'Europa ma del mondo.
Certo. Per la prima volta tratto un argomento importante mai affrontato prima da me: il denaro. Il potere del denaro e il modo in cui modella il mondo. Per affrontare la questione non ho dovuto fare ricerche approfondite sul mondo della finanza e degli agenti, costantemente presenti in televisione, nei documentari o nei quotidiani. Si comportano e parlano come li ha descritti DeLillo, sono tutti degli Eric Packer.

Per me, il riferimento a Marx non è casuale. Nel Manifesto del partito comunista Marx parla di modernismo, un'epoca in cui il capitalismo avrà raggiunto un tale grado di espansione che la società andrà più veloce della gente e l'impermanenza e l'imprevedibilità regneranno sovrani. Era il 1848 ma è la realtà che si inizia a vedere nel film. Spesso mi chiedo cosa ne penserebbe Karl Marx se avesse la possibilità di vedere in scena il mondo che aveva previsto.

Che cosa intende quando parla di "riempire il vuoto tra i dialoghi"?
Dopo tre giorni, i miei dialoghi erano in una specie di limbo. Ho dovuto capire come inserirli all'interno della limousine. Perciò ho indagato a fondo e sentito la necessità di trovare delle risposte: da dove viene Eric? Dove va? E gli altri? Cosa sta accadendo per le strade? In quale contesto si verifica l'attacco della torta in faccia? E così via. Poi, è soprattutto nelle cose pratiche, nella scelta delle impostazioni e degli oggetti in scena, che si forma il film. Non ho mai scritto una sceneggiatura per un altro regista proprio perché quando scrivo ho sempre in mente la mia regia. Per me, un copione è soprattutto un piano da destinare alla mia équipe e ai miei attori, uno strumento di produzione.

Di conseguenza, devo pensare di volta in volta alle indicazioni necessarie per gli scenografi, per i progettisti di scena e per i costumisti, e alle conseguenze economiche di ogni mio desiderio.


Tra le modifiche apportate, c'è quella scena alla fine del libro, quando Eric Packer si ritrova su un set cinematografico.


Si. Non appena l'ho letta, ho subito pensato che non stesse realmente accadendo e che fosse solo nella mente di Packer. Non credevo a quanto avessi di fronte agli occhi e non mi immaginavo a girare una scena con decide di corpi nudi in una strada di New York. Di solito, sono diffidente all'innesto di sequenze di film all'interno di un altro film, può essere interessante solo se ha un peso nella storia. Si tratta di uno dei tagli principali che ho fatto, insieme alla figura della donna senzatetto che nel romanzo Packer trova nella sua limousine al ritorno dal rave party. Avevo girato questa scena ma rivedendola ho pensato che la situazione era improbabile e che sarebbe risultata artificiale.

E, di conseguenza, ha tagliato anche i capitoli in cui Benno Levin interviene all'interno della storia, prima del finale.

Non avrebbero funzionato nel film. Avremmo avuto bisogno di una voice over o di qualche altro espediente che spesso genera scarsi risultati. Ho preferito rimandare tutto all'incontro tra Levin e Packer nella lunga sequenza finale: 20 minuti. 20 minuti di dialoghi! Si tratta di una di quelle scelte che devi fare quando vuoi trasformare un libro in un film, anche se in fase di sceneggiatura non sai mai che tipo di opera andrai a realizzare. Spesso mi viene chiesto se il risultato è all'altezza delle mie aspettative ma io, mentre giro, non ho alcuna aspettativa. Sarebbe assurdo mettere a punto nel dettaglio una traccia da seguire e a cui attenersi fedelmente: durante la lavorazione, possono accadere tante di quelle cose che si può stravolgere del tutto una sceneggiatura.

Questo è anche il motivo per cui non lavoro neanche con gli storyboard: si cercherebbe di ricreare solo quello che si è disegnato. E ciò non corrisponde alla mia idea di cinema. Io ho bisogno di essere sorpreso in continuazione, da me e da chi mi circonda. Aspetto che mi stupiscano anche sia gli attori sia Peter Suschitzky, il direttore della fotografia al mio fianco sin dal 1987. Lavorare in questo modo è molto più divertente.

Come ha scelto le ambientazioni?
Curioso ma la 47ma strada di New York somiglia parecchio ad alcune grandi vie di Toronto. Abbiamo ricreato il set mettendo insieme elementi che ricordano New York con altri presi da Toronto, dove giravamo gli interni. Non riuscendo a far riprese all'interno di una vera limousine, abbiamo dovuto ricreare un po' di scene in studio in modo da lasciare la camera libera di muoversi. Pertanto, ciò che si vede in primo piano dietro le finestre della vettura sono riprese aggiunte a posteriori. L'importante però è considerare la limousine non tanto come un automobile ma come uno spazio mentale: entrare dentro l'automobile vuol dire entrare dentro la testa di Eric Packer. Questo è ciò che conta.

Dentro la limousine "proustata". La parola non compare in molte delle traduzioni del romanzo, come ad esempio in quella francese.
Davvero? Si trova però nel romanzo, è un neologismo creato da DeLillo come riferimento a Proust e alla sua stanza rivestita di sughero. DeLillo ha inventato il verbo "proustare". Non sono certo che molta gente capirà l'allusione ma ho preferito non spiegare da dove deriva, generando in questo modo curiosità ma anche distorsione.

Mentre l'esterno è quello comune delle limousine, l'interno dell'auto su cui viaggia Packer è il frutto di alcune pesanti modifiche: il suo sedile è il simbolo diretto del suo potere e lo pone su un livello superiore rispetto agli ospiti. Molti particolari vengono direttamente dal libro, come ad esempio il pavimento di marmo.

Nel libro, sono presenti delle immagini in cui Packer si vede proiettato nel futuro. E tra queste, alla fine, c'è quella in cui vede la propria morte riflessa nel vetro del suo orologio. Nel film, invece, non ve ne è traccia.

Ho girato anche queste scene ma le ritenevo finte, artificiose. Per me era solo un escamotage narrativo: se avessi mostrato le visioni di Eric Packer facendole diventare una caratteristica del personaggio, avrei rifatto in qualche modo La zona morta. Delle anticipazioni sul futuro, ho mantenuto una sola frase che in qualche modo è collegabile al Packer miliardario: "Perché non vedo le cose che non sono ancora successe?".

Come ha scelto invece gli attori?
Tanto per cominciare, come già avvenuto per A Dangerous Method, gli attori che ho scelto non sono quelli che avevo in mente. Per Cosmopolis, nella parte del protagonista volevo Colin Farrell e per quella di Elise, sua moglie, Marion Cotillard. Ma Farrell doveva già onorare altri impegni contrattuali e Marion Cotillard era incinta. Così, ho cambiato la sceneggiatura cucendola su un protagonista molto giovane — in sintonia con l'idea del romanzo — e di conseguenza anche sua moglie doveva essere più giovane. Ho pensato che fosse meglio così. Il vero problema sorge quando si chiudono accordi per i finanziamenti a partire dal nome del protagonista. Fortunatamente, non era il mio caso.

Ha pensato sin da subito a Robert Pattinson?
Si. L'ho trovato interessante in Twilight, anche se il lavoro fatto rientra in un ambito molto particolare. L'ho visto anche in Little Ashes e Remember Me e mi sono convinto che potesse diventare il mio Eric Packer. Si tratta di un ruolo pesante, appare in ogni scena e non credo di aver mai fatto prima un film in cui lo stesso attore è sempre sullo schermo. La scelta di un attore è questione di intuizione, non ci sono regole o istruzioni da seguire.

Per questo film, ha chiamato la maggior parte delle persone con cui ha lavorato in passato. Oltre a Peter Suschintzky, ha voluto al suo fianco Howard Shore, che ha scritto le musiche di tutti i suoi film a partire da Brood — La covata malefica, 33 anni fa. Aveva delle esigenze particolari per le musiche?

Howard Shore è stata una delle primissime persona a cui ho inviato la sceneggiatura. Due erano le caratteristiche del copione: in primis, la presenza di molte canzoni già nel romanzo, e in seconda istanza l'elevato numero di dialoghi a cui la musica, mai invasiva, doveva far da sottofondo. Necessitavo quindi di musica discreta ma al tempo stesso in grado di sottolineare incisivamente i toni della storia. E di musicare i testi che DeLillo fa cantare a cantanti rap. Howard ha collaborato con la band canadese dei Metric, la cui cantante Emily Haines usa la voce come uno strumento, in una maniera così delicata da soddisfare tutte le mie esigenze.

Lei insiste spesso sul fatto che i suoi attori debbano attenersi alle battute della sceneggiatura e recitarle così come sono state scritte.

Si, lo ribadisco. Si possono fare film che lascino liberi gli attori di improvvisare. Molti registi di successo lo hanno fatto ma io ho una prospettiva diversa. Io non credo che spetti agli attori scrivere i dialoghi. Men che meno in questo caso, dove ho voluto che i dialoghi fossero esattamente quelli del romanzo di Don DeLillo. Stabilito ciò, gli attori avevano ancora un ampio margine di improvvisazione durante le riprese, decidendo loro il tono e il ritmo delle battute. Interessante mi sembra lo sforzo richiesto a Pattinson. Incrociando all'interno della limousine vari personaggi interpretati da vari attori, ha dovuto adeguarsi alla recitazione di chi aveva di fronte.


Ha provato a girare il film cronologicamente?Per quanto fosse possibile, si. Sono state girate in maniera cronologica le scene all'interno della limousine. Poiché Paul Giamatti è arrivato sul set quasi a riprese ultimate, abbiamo girato per ultima anche la scena del finale. Alcune volte ci sono stati degli impedimenti tecnici ma sono riuscito a rispettare la cronologia meglio che nei miei film precedenti.

Dato che la vicenda si svolge tutta nell'arco di una sola giornata e prevede una complessa evoluzione, ho trovato particolarmente utile lavorare in questo modo.

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