venerdì 25 maggio 2012

Sarah Gadon: "Così ho conquistato due generazioni di Cronenberg"

Per la prima volta i film di un padre e un figlio sono insieme a Cannes. Con una giovane attrice in comune. 25 anni, canadese, la protagonista di Cosmopolis e Antiviral ci racconta come è diventata la musa di una famiglia di registi

Semplice, gentile, affabile. E bellissima. Quando arriva sulla terrazza dell’hotel per l’intervista, l’attrice canadese Sarah Gadon non ha nulla della star di Antiviral o della donna perfetta di Cosmopolis. A soli 25 anni è finita sotto l’ala protettrice del regista dell’incubo David Cronenberg, che le ha fatto recitare prima la parte della moglie di Michael Fassbender A Dangerous Method, poi quella di Robert Pattinson inCosmopolis, quindi la celebrità destinata ad essere immortale inAntiviral, primo lungometraggio del figlio, Brandon Cronemberg. Per la prima volta, i film di un padre e un figlio sono contemporaneamente al Festival di Cannes: Cosmopolis è in concorso nella selezione ufficiale (ed esce oggi nelle sale italiane), Antiviral in quella delle opere prime. 

Ci parli di Cosmopolis. Qual è il suo ruolo nel film? 
«Cosmopolis è la storia di un miliardario, Robert Pattinson, che perde tutto ciò che ha nell’arco di una giornata. Io sono la sua nuova moglie, uno dei personaggi che compaiono nel film per sostenere il protagonista in queste 24 ore. Insieme facciamo colazione, pranziamo e ceniamo. Contrariamente alla moglie di Jung, che interpretavo in A Dangerous Method, qui sono la donna perfetta, consapevole e sicura di sé». 

Che effetto le ha fatto lavorare con l’idolo delle teenager di tutto il mondo?
«È stato interessante trovarlo ad un punto di svolta nella sua carriera, proprio dopo il grande successo di Twilight. Ho apprezzato molto l’alchimia che si è creata tra me, lui e David Cronenberg. Lavorare con David è favoloso: è un’esperienza liberatoria, eccitante e terribile al tempo stesso». 

Com’è ha ottenuto la parte in Cosmopolis?
«David mi ha chiesto se volevo essere una donna modello. Gli ho risposto di sì e gli ho chiesto se gli andava di parlare del mio ruolo e delle idee che avevo per interpretarlo. Mi ha detto di no, che andava bene così. Ho pensato: "Ci risiamo!"». 

Cronenberg non l’ha nemmeno lasciata parlare?
«Al contrario. Mi ha dato tutta la libertà che volevo : per questo non c’era bisogno di parlare».

Che differenza c’è tra David e Brandon Cronenberg nel modo di dirigere un film?
«Hanno lo stesso DNA. Danno agli attori carta bianca per creare i propri ruoli, ma sanno sempre dove vogliono arrivare. Con Brandon per Antiviral ho avuto lo stesso tipo di libertà che con David, ma ad esempio non ho potuto incontrare e nemmeno parlare con il coprotagonista, Caleb Laundry-Jones , fino al momento di girare la scena del nostro incontro nel film, che è l’incontro con un fantasma. Brandon non ha voluto, proprio per ricreare nella realtà l’atmosfera del film, e infatti arrivavamo al punto di pranzare e andare al trucco separatamente. Mi ci è voluto un po’ di tempo, dopo aver finito le riprese, per sentirmi a mio agio con Caleb». 

In Antiviral lei è una star talmente adorata dai fan che una clinica vende le sue malattie come reliquie, iniettandole nel corpo dei suoi fedelissimi. Un ruolo che l’ha lusingata? 
«Non mi sono mai vista come qualcuno che può essere ridotto ad oggetto di feticismo, e non ho mai veramente pensato che il ruolo fosse adatto a me. La prima volta che ho incontrato Brandon gli ho detto che probabilmente gli serviva una modella o qualcuno che fosse abituato ad essere fotografato e adorato. Mi ha convinta parlandomi dell’umanità e della vulnerabilità del personaggio, una star molto sensibile e insicura. Il lato che preferisco in lei è quello vero, quando è malata e sola davanti all’idea della morte. La cosa più interessante di Antiviral è che le icone pensano di essere immortali, ma in realtà sono esseri umani come tutti gli altri. E nel film si vede proprio la transizione tra un essere umano che sta per morire e un’icona che sopravviverà alla sua stessa morte». 

Lei fa cinema e televisione dall’età di dieci anni. Com’è crescere circondata da star?Non si finisce per idealizzarle?
«Non ho mai idealizzato una star, ma il cinema, quello sì. Adoro il cinema, e per me è importante parlarne, anche se di solito i media chiedono alle giovani attrici di parlare solo di moda e bellezza. Poi ci sono ovviamente attrici che ammiro, come Cate Blanchett e Tilda Swinton… la lista è piuttosto lunga a dir la verità. Per i provini di A Dangerous Method avevo mandato un mio video al direttore del casting di David Cronenberg, un giorno ho ricevuto una chiamata che mi diceva di partire per le riprese in Germania. È così che ho incontrato David e tutto il cast. Lavorare con grandi attori ti rende un attore migliore». 

Le è già capitato, invece, di diventare l’oggetto del desiderio di qualche fan?
«Per fortuna no. Non sono ancora così famosa, forse lo diventerò dopo Cosmopolis (ride). Ma non mi farebbe nemmeno piacere. Intanto però, per comunicare con i fan, ho creato un profilo di Twitter prima che qualcuno lo facesse al posto mio con un fake».

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