domenica 27 maggio 2012

Rolling Stone Italia giudica Cosmopolis di David Cronenberg con 5 stelle


 
"I dialoghi di Don DeLillo sono la ragione per la quale ho voluto realizzare il film". L’apparente squilibrio fra parola e immagine di Cosmopolis trova la sua spiegazione in questa affermazione di David Cronenberg. Apparente, perché il regista lavora sugli spezzettati dialoghi del romanzo costringendoli in un’unità di luogo che esalta l’impatto totemico del film, edificato sulle fondamenta di campo e controcampo, di una macchina da presa che si muove pochissimo ma certifica il pazzesco talento del regista di Il pasto nudo. Confesso che ho dovuto vedere il film due volte per comprendere l’enorme ricchezza dell’operazione, il fatto che Eric Packer (Robert Pattinson) sia costretto in auto, mentre sulla pagina ci sono il suo attico, altri appartamenti, un rave party, rafforza il messaggio del romanzo: il protagonista è un uomo intelligente, consapevole delle sue doti superiori e inevitabilmente prigioniero dell’universo, anzi della cosmopoli che si è costruito intorno. Da un romanzo con uno visione iperindividuale ad un film che giustamente non racconta più tutta l’America ma solo una città (New York) e un suo figlio. L’agonia del cybercapitalismo è portata in scena tramite il viaggio in limousine di un giovane miliardario viziato di Manhattan, che attraversa la città per andare ad Hell’s Kichen a tagliarsi i capelli da un vecchio amico di suo padre. In auto in folle lotta contro i mercati azionari, con un’ipotesi di attentato che gli aleggia intorno, solca cortei presidenziali, funerali di star dell’hip hop, contestatori situazionisti (gli tirano una torta) e si esercita in fugaci incontri sessuali, il tutto per andare incontro al proprio destino o se preferite per trovare "l’intesa perfetta" (parole di DeLillo). A fine corsa lo attende Benno Levin (uno strepitoso Paul Giamatti), il suo carnefice, presto in gioco nel libro "Sto vivendo offline, adesso" e solo alla fine, nel film.
Il romanzo ci lascia "in attesa che risuoni lo sparo" e così fa anche Cronenberg che ha corso coscientemente il grande rischio che i personaggi rimanessero schiacciati dal loro ruolo simbolico. Packer intuisce i mutamenti del capitale, il suo sembra un talento divinatorio o una forma di creatività. La finanza si trasforma, prima di collassare in una forma d’arte (l’ossessione del protagonista per Mark Rothko vorrà pur dir qualcosa), come se il cupo entusiasmo che ha accompagnato l’espandersi dell’economia finanziaria fosse il riconoscimento della forza quasi mistica che assumono computer, numeri, diagrammi... Cosmopolis è un capolavoro perché indaga nel profondo la deriva, l’alterazione che ha colpito la confortante combinazione fra ottimismo e tecnologia, il fatto che il futuro sia una sfida da inventare. Non c’è più spazio per nessun atteggiamento di fiducia e ingenua onnipotenza, i Packer devono vivere sempre più velocemente, ma non si salveranno più.

Fonte Rolling Stone Italia

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