domenica 19 agosto 2012

The Film Stage – *Cosmopolis*: “Pattinson interpreta Packer in modo geniale”


via: robert-pattinson.it
Ci sono più o meno un milione di punti da cui potrei cominciare…

Oh, al diavolo: “Brillante”. Cosmopolis è sicuramente un film brillante, ricco di tutto il significato e qualità, che noi chiamiamo “cinematografiche”, che si possano desiderare, presentate in un modo così apparentemente semplice che non si può che parlare di genio . Ultimo sforzo di David Cronenberg, dice moltissimo sulla nostra società – dicendo spesso pochissimo – al punto che, se il pubblico moderno si guardasse in uno specchio deformante, l’immagine sarebbe quasi perfetta.

Ed è la cosa più terrificante che l’autore canadese abbia mai messo sullo schermo.

Più inquietante, tuttavia, è l’insistenza di Cosmopolis su ciò che costituisce veramente il “tempo”. Tutti qui sono in movimento, ognuno sta andando verso qualcosa, tutti cercano di allontanarsi da qualcosa, ma non arrivano da nessuna parte. Il mondo di Cronenberg è quello in cui il tempo è un inevitabile, inarrestabile, orribile forma di slancio in avanti, consumato da tutti in ogni secondo (nano, Zepto, Centi) che passa. Sia che stiamo andando dal barbiere in una macchina lunghissima o seguiamo un corteo funebre, non c’è differenza, comunque avanziamo di un passo verso la fine .

Non che questo si deduca, per così dire, dalla trama di base in cui il miliardario Eric Packer (Robert Pattinson) decide che ha bisogno di un taglio di capelli. Nulla nel suo aspetto superiore suggerirebbe che ha bisogno di questo – diamine, i suoi capelli sono praticamente già corti – ma ne ha bisogno comunque, e ha bisogno di farlo in un luogo specifico. Con la sua fedele guardia del corpo (Kevin Durand), si avvia per le strade di Manhattan; il lento collasso della società non è che un ostacolo da attraversare.

Questo perché quasi nulla turba il nostro protagonista – né gli anarchici che deturpano la sua limousine, né un collasso finanziario, nè un burlone di professione (Mathieu Amalric)che gli lancia una torta in faccia – tranne , in ogni caso, il tempo. Cronenberg guida brillantemente questo punto focale (forse, è vero, giusto un po ‘troppo) in modo duplice: Il linguaggio che Packer usa per comunicare le sue impressioni sulla condizione del mondo – vale a dire, attraverso luoghi comuni comicamente vuoti, che sembrano tratti direttamente da una pila di nichilisti bigliettini nell’incarto di dolcetti – e il modo in cui si muove in questa metropoli tentacolare.

La limousine, la tecnologia, i vestiti, il sesso, il check-up medico quotidiano , gli incontri di lavoro faccia a faccia, la guardia di sicurezza che fornisce aggiornamenti riservatissimi su un alto membro del governo – questi sono tutti elementi che servono tale idea principale. Sono tutti un tentativo per rimanere giovani, vitali, “importanti”.

Molto di tutto questo grava sulle spalle di Pattinson – lui è praticamente in ogni scena – ed è un gran fortuna, quindi, che il personaggio gli vada a pennello. Sulla pagina, Packer è uno zoticone egoista e sociopatico con cui nessuno dovrebbe aver diritto di simpatizzare . Non è molto diverso da come lo interpreta il “rubacuori”, quindi Pattinson fa una mossa geniale: usa la sua immagine fisica accattivante come una sorta di strumento di resistenza contro ciò che un pubblico altrimenti potrebbe sollevare verso il suo personaggio. E ‘terribile, ma non meno affascinante e magnetico, e l’emozione che suscita la sua vista – emozione molto, molto legittima – è solo una parte di una strana vergogna collettiva da parte di un pubblico.

(E ‘anche divertente per riflettere e rendersi conto che la pelle notoriamente pallida di Pattinson si fonde perfettamente nella pallida fotografia di Peter Suschitzky .)

Visto che questo vale per quasi tutti gli altri qui, che Dio ti aiuti se cose futili come “personificazione nel personaggio” siano importanti quanto (gulp) la coesione narrativa. L’unico conforto proviene da una fonte: Il suono morbido e trainante dei Metric – in particolare, la voce di Emily Haines – e il lavoro fatto con Howard Shore per creare una colonna sonora che risulta meravigliosamente serena e decisamente moderna. C’è una certa pulizia del suono che crea l’impressione che sia la nostra unica tregua da un mondo fatiscente. Quindi, ovviamente, ce n’è pochissima nel film.

Esagero? Aspettate di passare un po’ di tempo con i soci di Packer, in scene singole recitate da un iimpressionante assortimento di talenti – Juliette Binoche, Samantha Morton, e Jay Baruchel tra i più noti. Vengono, vanno, e non si rivedono più, possono piacere o risultare fastidiosi; ogni conversazione che sostengono si basa su domande che possono essere comprese solo dopo, in media, tre o quattro minuti di conversazione che è essenzialmente un tergiversare, e non importa il risultato di tali visite, non c’è mai un vero senso di soddisfazione per quello ne che viene fuori.

Parole di apparentemente grande significato contribuiscono così poco in Cosmopolis ed è veramente frustrante da guardare – è in ciò, tuttavia, che abbiamo il polso del film. Se uno è disposto a lasciare che le cose si protraggano con bizzarri ritmi di dialogo, la maggior parte non si accorgerà nemmeno della commedia così inespressiva, e così via – in particolare nelle conversazioni meravigliose di Packer con la moglie Elise, interpretata da Sarah Gadon come una sussurrante, esile femme fatale – quella sensazione di confusione reciproca è inspiegabilmente ipnotica.

E ‘tutto parte di un più ampio intento cumulativo da parte del film di cospirare contro Packer; Cosmopolis, a ben guardare, è in realtà un’artistica pugnalata a quel genere di persone che hanno quasi distrutto l’economia mondiale e il loro senso del vivere senza sosta. Cronenberg è convincente in senso formale, impiegando un notevole equilibrio tra lo spazio dello schermo e il dialogo scritto / parlato.

Il suo metodo di ripresa di queste conversazioni utilizza strategicamente veloci sequenze alternate di controcampi in cui gli attori, a seconda della natura dei loro discorsi, rimbalzano – inquadrati per esempio in opposizione a Packer – o sconfinano nell’altro campo, quando s’ispirano reciprocamente . (Se non è ancora chiaro, avviene molto di più il primo caso rispetto al secondo.) Dove le parole spesso confondono, il blocco e il taglio delle riprese chiariscono.

Cosmopolis conduce il suo antieroe nel luogo dove solo lui – o noi, gli osservatori – potrebbe mai finire: da un suo ex-dipendente psicotico, interpretato da un incredibile Paul Giamatti come una bomba a orologeria. Tra i truffatori, mendicanti, scrocconi, assassini, e distruttori, è questa forza di rabbia (moderatamente) controllata la cosa più vicina a cui, come società, è ragionevolmente necessario dare voce?

Forse. E forse, con i momenti finali, Cronenberg invia un messaggio di questo critico non vuole digerire: E ‘il mondo di Eric Packer, e ci è solo permesso di entrare in quella limousine – quel disgustoso segno di ricchezza e di eccesso , quella creatura che porta la sua esistenza come una malattia – quando non c’è più scelta. Facciamo qualcosa prima che i centesimi di secondo che scorrono ci schiaccino nel nulla.

voto: A-

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